Acri…E’: Egidio Marchese, da Acri alle Paralimpiadi
Egidio Marchese, nasce ad Acri nel 1968, si trasferisce per lavoro in Valle d’Aosta nel 1991, per ragioni lavorative. In Valle d’Aosta conosce la sua attuale moglie, Doriana. Il 10 Gennaio del 1997 la vita di Egidio cambio: un incidente stradale, infatti, lo costrinse sulla sedia a rotelle a soli 28 anni.
Egidio cosa ricordi di quel giorno ?
Non ricordo quasi nulla dell’incidente. Viaggiavo in macchina sulla statale in direzione da Morgex ad Aosta. Improvvisamente un tir mi ha attraversato la strada e mi ha travolto, causandomi la rottura dell’aorta. Il danno ischemico al midollo spinale mi ha causato la paralisi. Sono uno dei pochi casi di persone su sedia a rotelle senza avere subito alcuna frattura alla spina dorsale. Paradossalmente, c’è più probabilità che cammini chi ha avuto un danno alla colonna vertebrale che chi invece ha avuto un danno ischemico come il mio. In pratica ho subito un’emorragia a seguito dello scoppio della aorta. Il mio caso è curioso perché, in genere, in questi casi i polmoni assorbono tutto il sangue e collassano. Era destino che non dovessi morire. Dopo 36 minuti il midollo va in ischemia. I soccorsi sono arrivati per tempo ma l’intervento in sala operatoria è avvenuto in tempi dilatati perché l’ospedale di Aosta non aveva le attrezzature adeguate per quel tipo di intervento. Non e possibile evitare la paralisi.
Ad ogni modo, scherzando sul mio incidente, dico sempre che sono arrivato alle porte del paradiso ma ho trovato chiuso e sono tornato indietro.
Non ho nessun rancore nei confronti del responsabile dell’incidente. So che è morto di overdose due anni dopo l’accaduto e ancora oggi mi chiedo se questa morte sia in qualche modo collegata alla mia vicenda. Non voglio dilungarmi sulla mia vicenda processuale ma la cosa che mi ha colpito di più è stata che il titolare della ditta di trasporti proprietaria del tir investitore si è preoccupato che il mezzo venisse dissequestrato quanto prima perché ne aveva bisogno per mandare avanti la sua attività. Nessuna preoccupazione per il mio stato di salute.
La tua vita inevitabilmente è cambiata molto dopo l’incidente. Come hai vissuto il periodo immediatamente successivo?
Per un periodo ho fatto su e giù da Torino ad Aosta per seguire i vari cicli di riabilitazione con dei permessi nei fine settimana per poter uscire.
Il momento più traumatico per me è stato il ritorno alla mia vecchia casa a Morgex. Qui abitavo al secondo piano mansardato di un piccolo condominio. Non mi ero mai reso conto prima di allora di quanto la mia casa fosse ricca di barriere architettoniche. Faticavo a fare tutto ciò che prima era assolutamente normale: non potevo più salire le scale per entrare in casa, facevo fatica a deambulare con la carrozzina perché gli spazi erano ristretti, facevo fatica anche ad andare in bagno!
A seguito del trauma, quando inizi ad incontrare tutte queste difficoltà, pensi che la tua vita sia finita. Mi ricordo che continuavo a dire a mia moglie di lasciarmi e di farsi una sua vita perché avere un marito nelle mie condizioni sarebbe stata una condanna per lei. E invece lei non mi ha lasciato ma anzi mi è stata ancora più vicina ed è stata fondamentale per la mia rinascita. Tanto che i nostri due figli, Samuel e Luca, sono nati dopo che io ho avuto l’incidente.
Uscire di casa (quando ci riuscivo) è stata la cosa peggiore. Costretto su quella sedia mi sentivo osservato da tutti e giudicato. Ero in imbarazzo. Da persona espansiva e allegra quale ero mi sono ritrovato ad essere introverso e ad avere paura degli altri.
Da dove hai iniziato a ricostruire la tua nuova vita?
Una delle cose positive era che avevo un fisico sano e forte, grazie anche al mio lavoro di operaio nei cantieri. Questo aspetto è stato determinante per riprendermi fisicamente dopo l’incidente. Utile per la mia rinascita è stata anche la possibilità che ci veniva data in ospedale di uscire con le persone che già da tempo vivevano questa l’esperienza della disabilità. Mi davano supporto e consiglio per affrontare i piccoli grandi problemi della vita quotidiana: dal caricare e scaricare la carrozzina in macchina, al muoversi in auto, al fare i vari spostamenti. Tramite l’assistente sociale dell’unità spinale ho avuto il primo contatto con l’ “AVP” Associazione Valdostana Paraplegici Ho iniziato a frequentare l’associazione e a fare le mie prime esperienze di guida…a neanche un anno dall’incidente .. e di questo, lo dico sinceramente, ne vado un po’ orgoglioso.
Molto merito della tua “rinascita” va dato allo sport. Quando e come ti sei avvicinato a questo mondo?
A partire dal 1998, le prime esperienze sportive. Sempre tramite l’associazione praticavamo soprattutto sci nordico. Non avete idea di che fortuna sia per un paraplegico poter ricominciare ad avere contatto con gli altri e con la natura. Significa letteralmente tornare alla vita e solo chi ha provato questa esperienza può capirlo fino in fondo. In AVP ero il più giovane…tanto che ero diventato una specie di mascotte. Le “vecchie leve”, se così le vogliamo chiamare, dell’associazione mi hanno dato fiducia e mi hanno introdotto nel direttivo. Questo mi ha dato la grande opportunità di poter prendere parte alle decisioni e di potermi sentire di nuovo utile e attivo. Nel 1999 mi ha contattato Orazio Fagone. Come molti di voi forse sanno è stato campione olimpico di short trak. Anche lui si è infortunato nel mio stesso anno, 1997, anche lui a causa di un incidente stradale. Insomma, Orazio mi contattò per chiedermi se ero interessato a provare un nuovo sport dal nome un po’ bizzarro: “curling”. Inizialmente ero scettico, ma lui ha insistito parecchio dicendomi che addirittura la Federazione Mondiale Curling insisteva per formare una squadra di persone in carrozzina in vista delle Paralimpiadi di Torino 2006. Così ho iniziato ad allenarmi a Courmayeur con i miei grandi amici Mauro Maino (in piedi, ex giocatore di curling) e Andrea Tabanelli, anche lui in carrozzina. All’epoca gli unici giocatori eravamo Andrea e io tanto che adesso mi viene da sorridere se ricordo il nostro primo torneo in Svizzera in cui, per completare la squadra italiana, ci hanno dato “in prestito” due svizzeri.
Il curling è uno sport certamente poco conosciuto e praticato. Ma grazie a questo sport è iniziata la tua “seconda” vita. Cosa rappresenta per te questo sport? Lo consigli ?
A quei tempi il curling era molto diverso da oggi. Era poco praticato e tutti noi lanciavamo con le mani. Oggi invece tutti lanciano con un bastone chiamato estender.
Do per scontato che tutti voi sappiate cosa è il curling ma forse non è così. In breve, consiste nel far scivolare dei grossi sassi rotondi (sembrano delle pentole a pressione), da venti chili l’uno, chiamati “stone” da una parte all’altra di una pista di ghiaccio. Dall’altro lato della pista sono disegnati dei centri concentrici (la casa). Chi piazza più stone vicino al centro dei cerchi vince la partita.Proseguendo nella mia storia sportiva, dopo il primo torneo in Svizzera abbiamo ad allenarci per Torino e a reclutare nuove persone in carrozzina che volessero approcciarsi a questa disciplina. Per fare esperienza e per conoscere nuova gente abbiamo viaggiato per tutto il nord Italia, dove questo sport era più praticato. Così ho conosciuto Rita Dal Monte nel 2000, che tutt’oggi è la donna della nostra squadra e il piemontese Emanuele Spelorzi, nel 2005. La squadra ha iniziato a fare i primi campionati del mondo in Paesi come la Svizzera e la Scozia, quindi anche molto lontani dall’Italia.. All’inizio ci muovevamo con i nostri mezzi e a nostre spese perché a quei tempi il CIP, Comitato Italiano Paralimpico, non ci sosteneva ancora.
Dall’incidente alle Olimpiadi. E’ davvero una storia da film la tua vita? Ma quanto è stato impegnativo?
A Torino 2006 siamo arrivati coi nostri mezzi con una squadra tutta composta da atleti valdostani: Io, Andrea Tabanelli, Rita Dal Monte, Pierino Gaspard che ora non c’è più ma è stato una pietra miliare dello sport paralimpico. L’esperienza di Torino ci ha dato tantissimo. Per la prima volta ci siamo trovati con i riflettori puntati addosso. Dal guardare e ammirare chi faceva sport in tv, ci siamo ritrovati a farlo noi con il pubblico che ci sosteneva ad ogni partita sempre più partecipe e numeroso. E’ stato davvero “traumatico” nel senso positivo del termine, oltre che il coronamento di una carriera sportiva e di grandi sacrifici. Da Torino la pratica del curling ha avuto un grande successo in Italia, tanto che sono iniziati ad arrivare i primi sponsor e le squadre italiane sono diventate ancora più numerose. Da allora abbiamo iniziato a poterci muovere con il nostro pulmino e questa è stata una grande conquista.
Cos’è cambiato dopo la partecipazione alle Paralimpiadi?
Dal 2006, anno delle paralimpiadi invernali, ho iniziato a seguire io la Disval, associazione sportiva dilettantistica coda dell’A.v.p., diventandone presidente. Abbiamo iniziato, grazie al supporto della Regione Autonoma Valle d’Aosta, a fare progetti per coinvolgere più persone possibili nella pratica delle attività sportive. Questi progetti sono andati avanti per anni e hanno permesso di avvicinare allo sport un grandissimo numero di persone disabili, soprattutto in età scolare. Per ragazzi di quella età è ancora più difficile relazionarsi con gli altri e fare sport per i loro limiti e la sensazione di emarginazione dovuta alla disabilità. Fare sport, soprattutto per noi disabili, costa tantissimo sia in fatica che economicamente, perché gli ausili hanno costi altissimi. A volte poi le famiglie stesse, per un senso di protezione nei confronti dei loro figli, sono scettiche nei confronti di queste nuove esperienze.
Anche la Fondazione CRT ci ha aiutato moltissimo nell’acquisto degli ausili per poter fare sport. Voi non avete idea di quanto sia importante per una persona con disabilità poter avere a disposizione attrezzature sportive (handy bike, slittini, carrozzelle per il tennis, unicicli..) perché sono molto molto costose e quindi non accessibili a tutti.Nel 2008 sono diventato presidente anche dell’ A.v.p. Tengo a precisare che, sia la Disval che l’Avp hanno sempre cercato il dialogo con le istituzioni malgrado qualche scontro. Il nostro obiettivo era ed è anche oggi quello di risolvere i problemi di accessibilità sul territorio e in città, dove l’eliminazione delle barriere architettoniche per noi disabili è sinonimo di vita.
Nel 2010 abbiamo partecipato alle paralimpiadi di Vancouver. Lì abbiamo notato una forte crescita della squadra, sia a livello fisico che mentale, tanto che siamo arrivati vicinissimi a giocarci la medaglia. Da Vancouver i numeri dei disabili che giocano a curling sono cresciuti ancora. Oggi in Italia il campionato di Curling è uno dei campionati con il più alto numero di squadre al mondo. Con orgoglio dico che in quanto Disval abbiamo vinto quattro scudetti nazionali e da tre anni di seguito siamo campioni italiani.
Dalle tue esperienze di vita hai imparato tanto. Cosa hai imparato e cosa vuoi dire a chi si trova a dover affrontare momenti difficili?
Concludo dicendo che l’esperienza in associazione e con lo sport mi ha profondamente cambiato e mi ha permesso di diventare la persona che sono. Senza l’approccio allo sport molto probabilmente avrei condotto una vita piatta e senza stimoli. Per questo desidero che anche altre persone possano godere della stessa fortuna che ho avuto io. Purtroppo ancora oggi, nonostante siano passati quasi venti anni da quando “mi sono fatto male”, la diffidenza delle persone e delle famiglie nel frequentare circoli dedicati ai disabili è ancora tanta. L’idea è quella che frequentare altre persone con problematiche simili alle proprie possa far sentire il disabile ancora più triste e isolato, mentre invece è proprio il confronto con gli altri a incentivare il cambiamento e la crescita e ad evitare la ghettizzazione, proprio come è stato per me.
Lo sport è un diritto e una grande risorsa ed è un dovere coltivarlo e supportarlo. Il messaggio deve essere sempre uno soltanto: mai arrendersi!!!! e questo messaggio non può che passare attraverso la pratica dell’attività sportiva.