Barattiamo gli occhi per la coda?
di Franco Bifano
Sicuramente sarà capitato a tutti almeno una volta di domandarsi come mai la sanità calabrese sia ridotta in queste condizioni. Con l’arrivo della pandemia, la ricerca di una risposta è diventata certamente più pressante. È ormai certo che al disastro morale, etico ed economico ha contribuito non poco anche la fastidiosa sindrome dello “scarica barile”. Un’autentica arma di “distrazione di massa”.
Il suo meccanismo di azione è estremamente efficace. È sufficiente rimpallarsi le responsabilità ed il gioco è fatto.
Prendiamo ad esempio la questione del depotenziamento, avvenuto nel tempo, del reparto di Chirurgia dell’Ospedale di Acri. Oggi, scopriamo che è stato privato dal 2017 al 2020 di ingentissime risorse economiche. Questo succedeva agli inizi del 2018, quando invece, paradossalmente, si lasciava intendere che sia il reparto che il presidio ospedaliero si stavano potenziando. Il reparto grazie alla collaborazione con un brillante chirurgo come il Dott. Vaccarise; il nosocomio invece con la nomina del Dott, Cozzolino a Direttore Sanitario.
I dati oggi resi pubblici, anche sulle pagine di questo giornale, confermano purtroppo che proprio nel 2018, anno quindi del possibile rilancio, il reparto subiva invece una grave beffa! Infatti, il budget delle prestazioni di 433,892,00 euro veniva decurtato a meno della metà, ovvero passava a 214.990,00. Lo stesso budget veniva successivamente quasi a sparire, insieme anche alle preziose prestazioni del Dott. Vaccarise, per ridursi alla misera cifra di 35.863,00 euro di quest’anno!
Un’erosione di risorse scandalosa e colpevolmente sottaciuta. Uno schiaffo in faccia a un comprensorio come il nostro con una potenziale di utenza di 50/60 mila persone.
Perché tutto questo? Il mitico Marzullo direbbe: “Fatevi una domanda e datevi una risposta”. Ma datevela subito, perché oggi è già tardi!
Adesso tutta l’attenzione si è spostata sul nuovo reparto COVID appena ultimato, con 16 posti per pazienti post-acuti. Sono quelle persone uscite dalla fase più delicata, e devono essere seguiti nel prosieguo del percorso terapeutico in ambiente ospedaliero prima di fare ritorno a casa.
Intanto, è bene ricordare che non era questo il tipo di reparto richiesto. Anche l’Amministrazione Comunale puntava ad ottenere un reparto di terapia sub-intensiva. Un reparto di questo tipo con le professionalità di cui necessità, in primis di anestesisti, avrebbe posto le basi a fine pandemia per un rilancio del reparto di chirurgia.
Non sappiamo però fino in fondo perché non sia andata così. Meglio accontentarsi del minimo piuttosto che niente? Forse, ma questo è un altro paio di maniche.
La preoccupazione, fondata o meno, è che adesso si rischia di affossare definitivamente il reparto di chirurgia, che oggi vede già alcune prestazioni ambulatoriali penalizzate. A proposito, mi chiedo se esista un percorso dedicato che non metta mai in contatto i pazienti COVID con quelli che devono usufruire invece di prestazioni ambulatoriali di endoscopia chirurgica o urologia?
Bisogna, come ho già scritto, lavorare in sinergia perché che gli ospedali periferici e la medicina territoriale siano al centro di una nuova politiche sanitaria, che nasce in emergenza ma che deve diventare fondamento per la salvaguardia della salute in futuro. Questo non a chiacchiere ma con atti produttivi, perché le chiacchiere le porta via il vento soprattutto in prossimità di scadenze elettorali.
Non vorremmo trovarci tra qualche tempo a fare l’amara scoperta di aver barattato gli occhi per la coda ed assistere per l’ennesima volta, al ritorno della comoda ma sgradevole sindrome dello “scarica barile”!