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Intervista ad Angela Rosa Marchese “ ’Ndrangheta: conoscerla per combatterla”

di Giacinto de Pasquale

“Mi rendo conto che molti miei coetanei calabresi non conoscono la micidiale potenza della ‘ndrangheta e non perché siano superficiali, poco interessati o ignoranti, ma semplicemente perché non se ne parla”. Come non essere d’accordo con le parole di Angela Rosa Marchese, neo dottoressa in giurisprudenza che pochi mesi fa si è laureata presso l’università “Magna Grecia” di Catanzaro discutendo la tesi “La ‘ndrangheta nella Sibaritide”. Un lavoro di ricerca, questo della neo dottoressa che vive e lavora ad Acri,

puntuale, articolato, ricco di informazioni per chi come noi è sempre portato ad arricchire le proprie conoscenze attorno a questo fenomeno criminale che, purtroppo, ha ormai permeato, forse in maniera irreversibile, il tessuto socio-economico della Piana di Sibari. La tesi della dottoressa Marchese ha il grosso merito di arricchire lo scarno scenario delle informazioni che si hanno sulla presenza della criminalità organizzata nella Sibaritide. Provate ad avviare una ricerca in merito e sicuramente troverete grosse difficoltà nel reperire materiale, cosa che invece non avviene nel caso del Crotonese, Cirotano, Vibonese, Locride o Reggino. Ecco perché, secondo noi, il lavoro della Marchese è importante ed efficace proprio in chiave di maggiore approfondimento della tematica. Da qui la voglia di conoscere questa giovanissima e dinamica ricercatrice proprio allo scopo di farci spiegare, alla luce del suo lavoro, qual è lo stato attuale della ndrangheta nella Piana di Sibari e non solo.
D: Lei sostiene che la ‘ndrangheta non è abbastanza conosciuta dai giovani calabresi, perché ?
R: Mentre tutti conoscono personaggi come Provenzano o Totò Riina sono invece in pochi quelli che, ad esempio, conoscono Giuseppe Morabito o Pasquale Condello, due dei più importanti capobastone della ‘ndrangheta, così come non conoscono i boss della Sibaritide Giuseppe Cirillo e Santo Carelli. Risulta quindi di fondamentale importanza informare i cittadini sulla reale potenza della ‘ndrangheta, perché solo all’interno di una società civile conscia e consapevole dei pericoli causati dalla presenza della criminalità organizzata è possibile intraprendere una lotta alla mafia.
D: In che cosa deve consistere concretamente questa lotta ?
R: Tale lotta non deve basarsi esclusivamente su azioni repressive ma deve favorire lo sviluppo di una vera e propria cultura antimafia. A tal riguardo i media e la scuola svolgono un ruolo di fondamentale importanza. Attraverso i mass media è infatti possibile attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e dei politici nei confronti del fenomeno mafioso. Mentre attraverso la scuola è possibile promuovere e diffondere un’educazione alla legalità, la quale però non deve limitarsi a impartire i principi costituzionali e giuridici, ma deve far comprendere la convenienza delle azioni legalmente riconosciute nella società.
D: Dal suo lavoro di ricerca qual è l’immagine che emerge della ‘ndrangheta ?
R: La ’ndrangheta, fenomeno criminale per lunghi anni trascurato e perfinoignorato, costituisce oggi per il Paese una realtà devastante e complessa.Se tale fenomeno fino alla fine degli anni sessanta era presente inmaniera marcata in aree ben definite della Calabria, successivamente haincominciato ad estendersi in tutto il territorio calabrese, per poiassumere dimensioni transnazionali. Inizialmente considerata come unamafia minore, la ‘ndrangheta si presenta oggi come una delle mafiepiù potenti del mondo, capace di gestire un giro d’affari che ammontaa decine di miliardi di euro, di controllare il traffico internazionale dellacocaina, di condizionare e indirizzare le scelte politiche, di influenzare ilmercato globale e di espandere il proprio potere oltre i confini europei fino a toccare l’America e l’Australia. Ma, nonostante la sua enorme potenza finanziaria e le sue infiltrazioni nel settore politico e amministrativo, la ‘ndrangheta risulta ancora essere l’organizzazione mafiosa meno conosciuta e meno studiata.
D: Ed in questo contesto criminale qual è oggi il ruolo della Sibaritide ?
R: In questa fase di espansione territoriale la ‘ndrangheta ha “occupato” inmaniera pregnante anche la Piana di Sibari, e non poteva essere diversamente tenuto conto degli importanti investimenti economici che tra la fine degli anni sessanta e i primi del settanta l’hanno interessata. Attraverso il lavoro di ricerca mi sono occupata dell’evoluzione della storia criminale nella Piana di Sibari, una storia relativamente breve rispetto al fenomeno reggino, crotonese o cirotano. Comunque un fenomeno cruento, pervasivo e asfissiante nei confronti di un tessuto socio-economico debole e sottomesso allo strapotere criminale. La ‘ndrangheta nella Sibaritide in oltre mezzo secolo di vita ha percorso tutte le tappe criminali che in altre parti, ad esempio nel reggino, sono state consumate in un arco di tempo ben più lungo ed articolato. Attraverso questa ricerca ho avuto modo di verificare come la ‘ndrangheta nel giro di pochi anni sia riuscita ad elevarsi a grado di organizzazione, ma soprattutto ad entrare in modo pervasivo all’interno dell’intera società civile. Se fino agli anni novanta i settori di influenza della ndrangheta erano ben definiti, in questi primi tre lustri degli anni duemila la presenza dell’organizzazione è stata praticamente totale. Non esiste, infatti, settore economico ed imprenditoriale che non sia controllato, direttamente o indirettamente, dalla criminalità organizzata. Tutto ciò è stato possibile perché il fenomeno, come riportato in sentenze, atti parlamentari, libri e testimonianze varie, almeno fino all’inizio degli anni novanta è stato sottovalutato. La scarsa incisività nell’azione di contrasto del fenomeno quindi, ha consentito all’organizzazione di poter “lavorare” in maniera indisturbata riuscendo a creare delle indistruttibili nicchie di potere in tutto il territorio. Così l’organizzazione inevitabilmente ha aumentato a dismisura gli introiti e questo enorme flusso di denaro ha scatenato gli appetiti delle varie cosche, le quali, pur di avere il controllo totale della zona, hanno posto in essere autentiche guerre di ndrangheta”. Corigliano, Rossano, Cassano Jonio, Trebisacce e altri centri della Piana vengono raccontati nel lavoro della Marchese in maniera chiara, esaustiva e puntuale, così come in uno dei capitoli viene trattato il “Caso Corigliano” con lo scioglimento del comune per infiltrazioni mafiose. La Marchese grazie a questo lavoro di ricerca, per il quale il prof. Tano Grasso si è complimentato con lei per il rigore documentaristico, consegna all’intera comunità della Sibaritide, e non solo, una “traccia” molto significativa di una storia che, sicuramente andrà approfondita e ampliata, ma che è un punto di partenza qualificante e puntuale dal quale non si può e non si deve prescindere. Davvero complimenti alla dottoressa Marchese per la volontà di contribuire ad arricchire le scarne fonti e documentazione su un fenomeno, la ‘ndrangheta nella Sibaritide, che domina sotto tutti gli aspetti socio-economico la vita di questa parte importante e ricca della Calabria.

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