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La Calabria zona rossa per inettitudine e malgoverno

di Elio Coschignano

La dichiarazione della Calabria come zona rossa non può e non deve stupire. Essa è il risultato di una politica forsennata, trasversale, che ha visto nella sanità il punto di maggiore interesse per clientele e affari ai danni dei cittadini. I dati parlano da soli: negli ultimi vent’anni ogni amministrazione regionale ha colpito al cuore la sanità. Ospedali chiusi, il 40,7 per cento di posti letto tagliati, ridotti a meno di due ogni mille abitanti (in Italia la media è di 3,2, quella europea è fissata invece a 5). Decimato di quattromila unità il personale sanitario, 15 per cento di medici in meno, 13 per cento di infermieri.

Chi volesse approfondire, potrebbe dilettarsi guardando cosa è successo in tempi recenti nel Tirreno cosentino: autorevolissimi esponenti, cosiddetti di Sinistra, hanno permesso, in quelle realtà, la chiusura di ospedali pubblici (Praia a Mare, Cetraro, solo per citarne alcuni) e favorito lo sviluppo della sanità privata. Per restare a questioni a noi più vicine, basta guardare l’amaro e tragico destino riservato da una classe politica cieca, sorda ed ottusa al nostro nosocomio. L’Ospedale “Beato Angelo” serviva un bacino d’utenza di circa 50.000 abitanti, se si tiene conto dei paesi albanesi e di altre realtà viciniori.

Il ruolo cruciale e la vasta utenza ci aveva spinto, nel 2005, in sede di dichiarazioni programmatiche a paventare la possibilità che la neonata ed amica giunta regionale ci venisse incontro nel dotare l’ospedale cittadino di almeno un posto letto per gestire nell’immediato le emergenze, con possibilità di intubare e monitorizzare un paziente, al fine di stabilizzarlo, prima di trasferirlo in altri centri più attrezzati. In sintesi, un posto di terapia intensiva con un anestesista dedicato. Per quel nostro intento programmatico, fummo oggetto di attacchi feroci, anche da parte di chi era del settore, indipendentemente dalla sua collocazione in Consiglio. Bollarono la nostra dichiarazione come folle e irrazionale. Al massimo, guardandola con gli occhi di oggi, ci avrebbero potuto etichettare come sognatori, utopisti. Nulla di tutto questo, fummo visti come pazzi e la cosa morì sul nascere.

La giunta Loiero, e ancor più chi venne dopo, continuarono un’opera forsennata di distruzione di strutture ospedaliere con la scusa di un rientro di bilancio. Gli ospedali vennero chiusi e depotenziati uno dopo l’altro. Tanto più erano lontani dai grossi centri, tanto più venivano chiusi. Quanto alle terapie intensive, vennero ridotti i posti persino negli ospedali regionali. Oggi, a distanza di 15 anni, mi piacerebbe sapere l’opinione di molti di quelli che si frapposero a quella proposta. Mi piacerebbe sapere se si sono mai pentiti di essersi frapposti a un progetto sicuramente ambizioso ma che andava nella direzione di una maggiore tutela della nostra realtà. Ribadisco, non fu un discorso di partigianeria, l’opposizione fu trasversale a quella proposta. La storia successiva è nota a tutti. L’Ospedale cittadino venne chiuso, per un paradosso della storia, proprio durante la gestione politica di chi vantava e millantava un potere contrattuale inesistente. Con i se e con i ma non si va da nessuna parte, ne sono consapevole, ma l’analisi critica di anni decantati potrebbe aiutare a evitare in futuro errori simili, dettati da miopia e tant’altro.

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