L’unica soluzione è andare via
Sono passate quasi due settimane da quando chi era ritornato ad Acri per trascorrere le consuete vacanze natalizie è andato di nuovo via, ripartiti per motivi di studio o per lavoro, quasi come se fossero stati tutti spettatori di un film da vedere solo nelle occasioni speciali. Perché Acri, in fondo, è paragonabile ad un film, che vedi e rivedi ma non trovi mai il lieto fine, nè tanto meno capisci bene la trama. E allora lo lasci lì ad impolverarsi, nello scaffale con la presunzione che di quel film conosciamo a memoria i dialoghi, le immagini e perfino la colonna sonora. Acri in questi giorni è ripiombata nella sua angosciante routine, l’unica cosa che rispetto agli ultimi anni forse è cambiata è il freddo che in questo inverno è ritornato a farci compagnia dopo qualche anno in cui gli inverni erano forse un pò troppo “tiepidi”. Ad Acri siamo ritornati nella solita quotidianità, fatta dei giri in macchina o delle passeggiate desolate alla ricerca di qualcuno fino a scoprire che in giro ci sono sempre gli stessi, negli stessi luoghi, alle stesse ore come un film che si ripete uguale ogni giorno, una quotidianità colorata solo dai bicchieri di vino bevuti in compagnia degli amici, quelli rimasti ed immersi nella morsa di freddo e noia quotidiana, di un paese diventato Città ma poi ritornato desolatamente ad essere paese. Abbiamo ripreso a vivere e soprattutto sopravvivere, con quella tipica consapevole sofferenza di chi non sa proprio come uscirne, di chi conosce il problema ma non trova in nessun modo la soluzione, neanche sforzandosi. Altri prima di noi non ce l’hanno fatta, o forse sono stati costretti, o forse non hanno avuto il coraggio di restare. Quel coraggio che hai, o che comunque ti devi obbligatoriamente far venire, il coraggio di restare qui dove tutto sembra così scontato, così eternamente perduto. Si ripiomba costantemente sugli stessi problemi e ultimamente addirittura in nuovi problemi che per un attimo cancellano quelli precedenti ma purtroppo non li risolvono, qui si annaspa nella totale assenza di qualsivoglia forma di “auto-medicazione”. Ci facciamo del male da solo e paradossalmente ci piace anche. Una sorta di masochismo lugubre che non abbiamo idea dove abbia messo le sue radici. Qui è molto più facile scappare che rimanere. Restare qui è quasi una ammissione di colpa che ci sta stretta, che allo stesso tempo non accettiamo ma che comunque non combattiamo. Prendiamo la valigia, gli insaccati sotto vuoto, i “boccacci” di conserve varie e le lacrime di mamma e papà, direzione”Purgatorio” e partiamo, l’unica cosa che ci resta da fare per combattere questa triste noia, questa triste abitudine. Lasciamo tutto e tutti, tanto ci rivediamo alle feste comandate, tanto ci rivediamo tutti insieme con gli amici che hanno avuto il coraggio o sono costretti a dover restare, gli stessi che nel frattempo oltre al cicchetto sono passati anche al bicchiere, alla “macchinetta” o alla “bolletta”, tutto ciò non per farsi qualche spicciolo, ma per sconfiggere la noia. Alcuni sono andati via senza tornare neanche durante le feste comandate e vivono con quella maleodorante presunzione di essere comunque e a prescindere i migliori. Che Acri non li merita, a loro li merita Torino, Milano, Bologna, Garda o forse Roma.Lì dove muori e spesso nessuno se ne accorge. Dove vivi, e comunque spesso nessuno se ne accorge. Con puntuale precisione, subito dopo le feste, Acri si rituffa nella sua quotidianità. Ogni città lo fa direte voi. Ma qui c’è qualcosa in più, Acri si rituffa nei problemi di sempre ed in quelli nuovi, creati anche da chi i problemi avrebbe dovuto risolverli o quantomeno ridurli e che invece nega l’evidenza facendo credere che va tutto bene, sapendo allo stesso momento di mentire. Ad Acri ti perdi nel via vai di auto in giro per una città che giorno dopo giorno si svuota, nella mancanza di acqua perché ad Acri oramai manca anche l’acqua, nel randagismo, nelle strade piene di buche o meglio dire nelle buche di una città che sta rimanendo vuota, con le tasse alle stelle, senza uffici, negozi e ovviamente senza neanche l’Ospedale, i responsabili li conosciamo tutti, i responsabili siamo anche tutti noi, senza esclusioni, senza colori. Noi che ogni volta mandiamo al timone della nave chi invece dovrebbe stare nella stiva. Acri è un’eterna scontenta, una donna fastidiosa, antipatica e rompi palle che non ti da tregua. Neanche quando dorme, soprattutto quando dorme. Ti colpisce alle spalle, ti spaventa e ti fa saltare in aria dalla paura. Acri è quella canzone talmente triste che non vuoi ascoltare in macchina, che se ti capita per radio (su radio Acheruntia) la vuoi cambiare subito, a proposito di radio, il consiglio comunale ormai non andrà più in onda (per ora) per la felicità di molti e soprattutto per volontà di qualcuno . Acri è quella poesia incompiuta, ferma al primo rigo, perché poi non sai più che scrivere e accartocci il foglio buttandolo nella spazzatura. A proposito di spazzatura, state attenti alla differenziata e sopratutto al maltempo, ad Acri (e non solo) oramai quando piove, nevica o c’è vento la differenziata non si fà. In una città con un territorio prevalentemente di montagna infatti si sa, splende 12 mesi all’anno il sole. Acri è solo il passeggio della domenica per andare a messa, con la mamma che poi cucina i fusilli ed il ragù con quel profumo che solo ad Acri puoi sentire, Acri è per chi con la sciarpa rossonera al collo va al “campo” (una delle pohe cose rimaste) e dopo a casa a bestemmiare il calendario perché verrà sempre un lunedì e ad Acri il lunedi significa ritornare a rivivere una solita noiosa settimana. Acri è le polemiche contro il Comune, le lamentele contro ogni cosa, l’abitudine di “armiamoci e partite”. Bisognerebbe scappare, tutti! Questo è il pensiero più comune, mandare tutto a quel paese e sparire. Acri è ormai solo un giro il sabato sera , Acri è solo la sua gente, che comunque conosci e che tratti quasi come fosse componente di una grande famiglia. Acri è solo un’eterna illusione. L’illusione che qualcosa possa cambiare, allora meglio andare via. Poi via ci vai, cambi città e vai a lavorare o studiare fuori e Acri, all’improvviso, diventa la canzone che vuoi ascoltare, a ripetizione. Quel via vai di gente e visi conosciuti, quel bicchiere di vino o quel cicchetto poggiato sul bancone del bar o quella chiacchierata con gli amici sotto casa prima di salire, il profumo del sugo che invade ogni stanza della casa la domenica mattina. La moglie o il marito che ti ha tradito, ma dalla/dal quale torneresti mille volte ancora, semplicemente perchè l’amore a volte va contro ogni regola. La sua gente, le sue case e le sue strade, all’improvviso ti mancheranno da morire. E allora quella triste canzone la ascolterai per ore ed ore , una canzone che parla di un amore non quasi non corrisposto, di un sentimento troppo forte per poterlo vivere con felicità, quasi fosse un peso. Proverai a nasconderti, a rinnegare a tutti le tue origini a modificare il tuo accento fino al punto di risultare strano e buffo anche a chi ti ha accolto in altre città. Ma Acri che tu voglia o no ti entra dentro e li resta per sempre, una terra di sangue e rose, di poeti e Santi. Una terra di speranzosi: “vedrai che si aggiusta tutto”. Acri ha quella melodia che ti entra nelle vene e che riconosceresti a migliaia di chilometri di distanza. E quando torni, ti sembra di (ri)vedere il paradiso. Poi te ne vai, le feste finiscono, ma ti porti dentro il sapore amaro di una città incerta, persa nelle sue convinzioni malsane. La città con la quale, nonostante tutto, nonostante gli “schiaffi”, ci faresti l’amore sempre. Vai via ma dentro al portafogli, tieni dentro l’immagine del Santo, ops del Beato Angelo, che comunque prestissimo sarà Santo, quello a cui ti affidi e a cui affidi i tuoi affetti e la città da cui comunque prima o poi torni. E sull’immagine di quella città a volte ci appoggi le labbra, ci appoggi la testa e ti lasci dolcemente accarezzare, immerso nei ricordi di quello che comunque e stato e immaginando quello che forse un giorno sarà, magari nuovamente lì. Nonostante lei per gli altri sia solo una misera sgualdrina, incapace di amare. Ma la stessa “sgualdrina” che poi, guarderai con le lacrime agli occhi quando il pullman dal “Purgatorio” partirà e inizierai solo ad intravedere il cartello “Benvenuti nella Città di Acri” che per te in quel momento è un arrivederci e mai un addio. Perché tanto lo sai, come la metti metti, alla fine qui devi ritornare.
Francesco Spina