di Franco Bifano
Mi tocca di nuovo parlare di sanità. Non nascondo che la cosa stia diventando deprimente, ma considerando comunque che c’è di mezzo la nostra salute rimbocchiamoci ancora una volta le maniche le mani e riproviamoci. Negli ultimi tempi ho la sensazione che sia aumentata sull’argomento la rassegnazione , comprensibile. Quello che trovo invece insopportabile è l’indifferenza. C’è poco da fare, quella mi indigna proprio! Intanto perché rende le persone ignave, pronte quindi ad adeguarsi sempre all’idea del più forte e poi perché è contagiosa, anzi contagiosissima. L’indifferenza è un vero e proprio virus tra i peggiori in circolazione, molto più aggressivo della peggiore influenza stagionale poiché si trasmette addirittura senza contatto diretto. Pensa un po’ come siamo messi! Siamo al punto – e questa figurarsi che rimane la migliore delle ipotesi – che si può essere“portatori sani “, senza esserne consapevoli.
A proposito d’indifferenza, nel mio pezzo ”Siamo fatti a capocchia” del 5 u.s. (clicca qui) parlavo della questione delle diverse prescrizioni del medico di famiglia, quindi delle “ricette bianche” e “ricette rosse”. Per carità, per quanto la questione sia delicata, non è che mi aspettassi chissà quali grandi reazioni. Auspicavo più che altro che qualcuno, magari anche “più titolato”, riprendesse l’argomento in modo che l’incredibile paradosso che in questa storia esiste potesse emergere in tutte le sue contraddizioni, se non altro per i seri problemi che sta causando alle fasce più deboli della popolazione costrette a recarsi a Cosenza per poter fare semplici analisi di laboratorio. Invece? nulla! Nada de nada, insomma niente! Mi vedo quindi “costretto” a riproporre la questione.
Lo faccio intanto perché, come direbbero a Roma, “so proprio de coccio!” e poi perché la cosa è più complicata di quanto potrebbe apparire. Insomma, sarebbe ora che qualcuno cominci a spiegarci com’è possibile che il CUP non possa prendere le ricette bianche per gli esami che sono a totale carico dei pazienti, invece può prendere regolarmente le ricette rosse nelle quali il paziente contribuisce pagando solo il ticket. Non solo la questione è illogica ma anche anti economica. Se ci trovassimo nel campo delle strutture private il CUP con un simile modo di agire sarebbe stato chiuso e da un pezzo. Il problema è proprio questo, siamo già entrati in ambito privato senza essercene neanche accorti. Infatti, succede che i pazienti non potendo ricevere la prestazione a pagamento dal laboratorio dell’Ospedale di Acri sono costretti a scegliere un’altra strada. Quale? Quella che porta a Cosenza.
Perché si toglie lavoro al laboratorio dell’Ospedale di Acri? C’è qualcuno dietro a questo meccanismo che sembra ben collaudato? E dei cosiddetti (nascenti) punti prelievo ne vogliamo parlare?
Forse, è meglio di no. Continuiamo a far finta di niente, anzi suggerisco di costruire intorno alla vicenda un alone misterioso. Del resto vi sono città che hanno costruito le loro fortune turistiche vantando luoghi del mistero: “Il Mistero del Castello”, “Il mistero della grotta incantata”. Ecco, noi il mistero non abbiamo bisogno neanche di inventarcelo, lo abbiamo sul serio, si tratta dell’incredibile“mistero della ricetta bianca”. Magari non potremo raccontare storie di principesse o tesori nascosti. Però potremmo rifarci raccontando le vicende di moderni “briganti”,offrendo ai turisti, a soli 10 euro,un bel giro panoramico, per i vari CUP sparsi sul territorio, con tanto di guide accreditate naturalmente dalla ASP. Pranzo e bibite comprese s’intende.
Potrebbe essere una buona idea (chissà) utile per recuperare un po’ di quei soldi non incassati rifiutando le ricette bianche.
P.S. Mi dicono che l’ Azienda ospedaliera di Cosenza accetta le ricette bianche. Come mai? Il mistero si infittisce, meglio potrebbe portare un deciso aumento di turisti!